Maratona di Chicago 2019, il nostro racconto



La maratona di Chicago è sempre stata nei sogni dei podisti Italiani, ma anche nei nostri! Dopo aver raccontato la maratona di Boston e anche quella di New York, quest’anno pensavamo di correrla, visto che, come descritto nell’articolo di Correre del Marzo 2019, Massi ha visto cambiare l’headquarter della sua azienda da Detroit a… Chicago. E non a caso era prevista la sua partecipazione, finché la riunione inizialmente prevista a Chicago, è stata infine spostata a Detroit! Quindi maratona saltata, presto racconteremo cosa faremo.

Sebbene avessimo inizialmente in programma il racconto, abbiamo chiesto a Massimo Angeleri, podista amatore conosciuto via web, di raccontarci la sua esperienza nella città del sole, ops del vento. Grazie Massimo per averci «sostituito»! Per chi volesse leggere un altro articolo molto interessante, vi suggeriamo di sfogliare le pagine della nostra amica Carlotta, che ha terminato Chicago in 3h 09:00.

A 4051: Chicago Marathon, il racconto

La maratona di Chicago 2019, è per me iniziata il 16 novembre 2018; si, non è un errore, 2018, quando insieme ad un amico, con cui avevamo appena corso il 16 settembre precedente, la maratona di Berlino, abbiamo deciso di iscriverci, sospinti dal vento dell’entusiasmo della nostra prima major, nobilitata dal nuovo primato mondiale fatto registrare da Eliud Kipchoge. Dopo aver superate le prime insidie costituite dall’iscrizione in inglese – grazie anche ad un ottimo sistema di supporto on line, l’organizzazione è davvero ineccepibile – è poi cominciata la parte più divertente: la preparazione. Il periodo tra l’iscrizione e la partenza è volato, ed eccomi ad affrontare il problemi del bagaglio, preparato alla luce di un’unica certezza, tutto deve stare nel bagaglio a mano, certezza costellata di mille dubbi sugli indumenti da portare per poter poi avvalermi, pia speranza che anima ogni vigilia, dell’assetto giusto per la corsa. Ma come sempre, in ogni gara, una cosa sola non deve mai mancare nella valigia: la voglia di correre col sorriso, il desiderio di divertirsi, di onorare la partecipazione dando il massimo, e nelle majors questa valigia deve essere particolarmente capiente! A eccitare a nobili imprese l’anima del concorrenti, il 12 ottobre da Vienna è arrivata anche la notizia dell’abbattimento, ovviamente da parte di Eliud piè veloce, del muro delle 2 ore in maratona: ulteriore benzina nel motore del mio entusiasmo.

Prima della partenza, la sensazione di festa a Chicago

Ed eccoci arrivati alla mattina del 13 ottobre, un pochino sfasati o «sfusati» per l’arrivo a Chicago solo al venerdì pomeriggio, ma con l’albergo appositamente scelto vicino a Millennium Park, per agevolare l’arrivo all’area di partenza. Il tutto è organizzato molto bene – con presenza di congrui bagni chimici, dettaglio fondamentale che in certi casi può fare la differenza – ed è altrettanto ben segnalato cosa importante perché quando lasciamo l’albergo alle 5 45 è ancora decisamente buio; ma è un buio illuminato dalla presenza di tante persone che provengono da ogni parte del mondo, da ogni continente, uomini e donne che come me hanno deciso di intraprendere questo viaggio meraviglioso, di accettare la sfida di una corsa così prestigiosa. Più ti avvicini alla partenza, cronologicamente e geograficamente, più percepisci di essere parte di un evento che è tutta un’altra cosa rispetto alle altre gare, ti senti coinvolto in una grande manifestazione, in una gioiosa festa, sì il termine che meglio riassume e descrive il tutto, è festa – festa che per un amatore può rappresentare in qualche modo ciò che per i professionisti sono le olimpiadi.

Chicago, the Windy City?

Ed eccoci in griglia, tutti presenti, tranne per fortuna… il dio Eolo, che almeno nella prima parte della giornata – la partenza è piuttosto presto, 7 30 ora locale, 14 30 per noi italiani – ha deciso di prolungare il sonno concedendo una tregua agli atleti che hanno beneficiato di un clima freschino, quindi perfetto per correre; e solo nella seconda parte della gara ha dato cenni di risveglio ma in modo tutto sommato gentile, timido, tollerabile; del resto non bisogna dimenticare che siamo a Chicago la città del vento. Animato dalle domande che accompagnano la mente di tutti i concorrenti, riuscirò a partire trovando e mantenendo il ritmo giusto?, sfilo il maglione che lascio per i bisognosi della città dell’Illinois, un modo semplice per essere caldi e… utili a qualcuno meno fortunato, e arriva il tanto atteso start: a quel punto si scatena la gioia! Si parte per 42,195 km, anzi 26,2 miglia, in mezzo ad un pubblico meraviglioso che fa un tifo chiassoso, allegro, contagioso, musicale – vi sono anche gruppi che suonano e a suon di note e rock danno la carica – pubblico cui non mancano cartelloni e fischietti, e che trasmette una grande energia positiva e tanto calore; il tutto sotto l’occhio vigile di un efficace servizio d’ordine e polizia che trasmette sicurezza.

La maratona di Chicago, un percorso velocissimo

I chilometri scorrono in un percorso veloce e con corsie larghe che lasciano a ognuno lo spazio fisico e mentale necessario per trovare la propria condotta ideale di gara che per la Kosgei significa polverizzare il precedente record mondiale femminile sulla maratona. E personalmente, sono a due su due: si tratta cioè della seconda majors cui partecipo, e del secondo record che si realizza, prima maschile, Berlino 18 e poi femminile, Chicago 19: una bellissima coincidenza!!! Tagliato il traguardo con qualche nascente dolorino nel corpo ma nulla in confronto all’immensa gioia e soddisfazione dell’anima, una splendida medaglia al collo suggella la prestazione: ed è orgoglio per la maggior parte dei partecipanti esibirla anche il lunedì e il martedì seguenti.

Good job e well done: quando in Italia?

Diventa un bel modo per rinnovare la soddisfazione per il “good job” il “well done”, tante volte sentito urlare come incoraggiamento in gara, e per riconoscersi tra i tanti colleghi di maratona per scambiarsi un sorriso di complice soddisfazione e ammirazione reciproca, nonché, e questo fa davvero piacere, apre la possibilità di ricevere la gratitudine dei cittadini di Chicago, anche a 2 giorni di distanza dall’evento, onorati dalla nostra presenza nella corsa delle loro città. C’è molto da imparare da quel comportamento! Per chi corre, in Italia, non si chiede tanto, ma certamente un maggior rispetto, non guasterebbe. Mi pare che l’atteggiamento da noi sia più focalizzato sul disagio procurato da chi occupa una carreggiata o una sua parte, anziché sull’opportunità di godere diversamente della propria città e di scendere in strada per festeggiare e applaudire, o almeno vedere chi con tanto impegno cerca di dare il meglio di se. Certo ci vuole un cambiamento di prospettiva che passa attraverso un cammino di progresso nella cultura sportiva.

Un auspicio sportivo per il futuro della maratona

Per concludere la riflessione, perché la maratona in un certo senso non è ancora finita, e non finirà mai nella misura in cui le emozioni restano vive dentro di me nel ricordo e la attualizzano – chi corre capisce – mi permetto di esprimere un appunto e un auspicio. Cominciamo dall’appunto che, submissa voce, mi permetto di esprimere e che è l’unico aspetto su cui a mio modesto avviso potrebbe, ulteriormente migliorare la maratona: sul pettorale, che i runners pagano in modo importante e con congruo anticipo, gli organizzatori potrebbero stampare il nome e cognome dei partecipanti: si otterrebbe un duplice effetto positivo; in gara sentire l’incitamento con il proprio nome, sembra una piccolezza, ma fa davvero piacere, trasmette una grande carica, dopo la gara, si fisserebbe in modo visibile tangibile il ricordo della manifestazione nel legame personale sancito dall’identità rappresentata dal nome stampato. E ora per concludere non mi resta che auspicare a gran voce che tanti vogliano provare a vivere una esperienza così intensa, così bella, così vera!

Per chi fosse curioso A 4051, non è una sigla di battaglia navale, ma si riferisce al numero di pettorale e al recinto di assegnazione nella griglia di partenza: ma se è assimilabile a una sigla della battaglia navale, certamente si potrebbe dire: colpito, affondato. Missione compiuta.





Sending
User Review
0 (0 votes)

Posted by