Genetica e maratona

Rapporto tra genetica e maratona, Etiopia

Genetica e maratona sono spesso accomunate. Navigando nel mondo digitale, sempre più frequentemente imbatto in discussioni riguardanti le ragioni alla base del successo dei maratoneti africani. Purtroppo troppo spesso trovo le argomentazioni proposte, anche da parte di personaggi influenti nel mondo dell’atletica, connotate da superficialità. A mio avviso queste lasciano trasparire una scarsa competenza nella lettura di tale fenomeno da parte di chi le afferma.

Senza la pretesa di essere esaustivo o di essere nel giusto, ho scelto di scrivere questo articolo per proporre una riflessione in merito.

Africa e Maratona, le nostre osservazioni

Ogni fenomeno per essere compreso richiede, a monte, un’osservazione attenta e chiara. Perché questo possa accadere necessitiamo di avere a disposizione delle “lenti”, che ci permettano di osservarlo con la dovuta nitidezza.

Vi domando: abbiamo le giuste “lenti” per osservare il fenomeno “Africa e maratona”? Secondo me, no. Anche se mi accingo a scrivere questo articolo e seppure sia stato numerose volte in Africa, io stesso credo di non possedere lenti adeguate.

Un aneddoto

Il mio primo viaggio in Africa avvenne nel dicembre 2012 in Cameron. Dopo essere atterrato all’aeroporto di Douala, mi diressi verso una città dell’entroterra dove avrei soggiornato. Pranzai con due ragazzi camerunesi in un piccolo ristorante. Vista la mia curiosità culturale decisi di rivolgere qualche domanda ai commensali per cercare di comprendere le possibili differenze esistenti a livello alimentare tra Italia e Cameron.

Chiesi a quale ora fossero soliti mangiare. In Europa ogni paese presenta abitudini peculiari, i paesi mediterranei mangiano solitamente nelle ore più tarde della giornata, mentre quelli a nordici decisamente in anticipo. Uno dei due commensali rispose sorridendo “si mangia quando c’è da mangiare”. La risposta che mi venne data usciva da ogni schema di comprensione a mia disposizione. Non c’era un orario per mangiare, l’ora dipendeva dalla disponibilità. Il criterio proposto era differente da quanto io avessi mai sperimentato nella mia vita.

Questo piccolo aneddoto mi rese consapevole che non possedevo le giuste lenti per comprendere il fenomeno “Africa”. Quando si riflette su un mondo lontano dal nostro credo sia necessario mettere in conto che le proprie conclusioni possano essere errate o molto parziali.

Maratona, Africa e genetica

Parlare di Africa in termini generali è veramente poco utile. Perché? L’Africa è un continente enorme. Quando parlo di Africa raggruppo insieme nazioni e popoli estremamente differenti. In linea di principio, considerare gli africani tutti uguali sarebbe come affermare che il patrimonio genetico di un italiano del sud sia lo stesso di un finlandese. Sarebbe assurdo.

Se ci addentriamo più nel concreto ci accorgeremo che i principali maratoneti arrivano dalla costa est o dalle nazioni a nord. Parliamo di Keniani, Etiopi, Marocchini, ecc. Difficilmente incontreremo degli atleti di punta in questa specialità tra Nigeriani, Senegalesi, Ivoriani, ovvero tra persone originarie della costa ovest.

Struttura fisica africana

La struttura fisica delle nazioni africane dell’est è caratterizzata da muscoli lunghi e sottili. Forza, potenza e possenza sono caratteristiche proprie delle nazioni dell’ovest. I corridori di endurance arrivano dalle nazioni a est, i velocisti dalle nazioni ad ovest.

Anche se restringiamo la localizzazione ad una nazione vedremo che stiamo ancora generalizzando. Consideriamo il caso del Kenya. Numerose sono le etnie presenti, a memoria sono circa una ventina. I matrimoni e le nascite sono ancora in parte legate a tali appartenenze. I maratoneti keniani più forti generalmente discendono dall’etnia Kalenji, da qui il nome di alcuni prodotti Decathlon, stanziata a nord del paese sul confine con l’Etiopia.

Va detto come non tutte le etnie del Kenya presentino una predisposizione per la corsa, ad esempio i Kenatta e i Luo, da cui discende Barack Obama, sono conosciute per le abilità politiche e non atletiche.

Considerare la prestazioni dei maratoneti africani unicamente legate a fattori di contesto credo sia fuorviante. Una componente genetica è presente e compare ad un’analisi attenta.

Maratona, Africa, cultura e ambiente

Bambini in Madagascar

Ho collaborato per quattro annualità in un progetto volto a promuovere una riforma nel sistema scolastico del Madagascar. Grazie a questa esperienza ho avuto l’occasione di ascoltare e conoscere una realtà molto diversa dal contesto italiano.

Insegnanti e presidi raccontano come per molti bambini sia difficile raggiungere l’edificio scolastico, problematica dovuta a una scarsità di strutture, alla quasi assenza di mezzi di trasporto e alla povertà dilagante. Ho scoperto come alcuni bambini delle elementari per recarsi a scuola siano obbligati a percorrere a piedi distanze di 18 km all’andata e 18 km al ritorno.

Vero è che l’abbandono scolastico incontra picchi elevatissimi, ma quanti bambini europei sono tenuti ad un allenamento così severo? Nessuno. Fossero anche solo 3 i km che separano l’abitazione dalla scuola, ogni giorno un bambino condurrebbe un allenamento aerobico lieve della durata di circa 1 ora.

Ricondurre i risultati dei maratoneti africani unicamente a fattori genetici non tiene conto di un dato di realtà importante, ovvero che i paesi a sud del mondo “obbligano” la popolazione giovanile ed adulta ad un movimento continuativo, che accresce i talenti di base.

Parallelo con la psicologia

La domanda che caratterizza il dibattito psicologico è da sempre se siamo quello che siamo per influenza genetica o per il processo di acculturamento ed educazione affrontato. Molti personaggi di primo piano nel mondo scientifico si sono posti agli estremi delle due possibilità. J.B. Watson, fondatore del comportamentismo, una scuola psicologica americana avviata a inizio ‘900 concepiva l’uomo come una tabula rasa, plasmata dalla cultura, e sulla quale non vi erano influenze genetiche.

Francis Galton, cugino di Darwin, si situava sulla posizione opposta sostenendo relativo l’impatto culturale e assegnando alle variabili genetiche un ruolo quasi assoluto.

Le posizione attuali delle correnti psicologiche presentano generalmente posizioni moderate e concepiscono importanti entrambe le variabili, genetica e culturale, entrambe presenti in ogni fenomeno umano.

Conclusioni

Uno degli psicologi che a mio avviso ha meglio tenuto insieme le determinanti genetiche e culturali è stato Kurt Lewin. Una nota concettualizzazione di tale studioso suppone che il comportamento umano sia formalizzabile esprimendolo in termini matematici:

C=f(P*A).

Ovvero il comportamento (C) è la risultante della funzione della personalità (P) moltiplicata per l’ambiente (A). Rivedendo questa formula e declinandola nel mondo podistico potremmo così concepirla:

P=f(G*A)

La Perfomance (P) sarebbe la derivazione della combinazione del patrimonio genetico (G) e dell’allenamento sostenuto (A).

A fronte di tale formulazione credo sia evidente come un contesto ambientale che obbliga ad un allenamento costante non sia sufficiente a produrre una Performance elevata senza una predisposizione genetica. Così è anche per un patrimonio genetico vantaggioso senza un allenamento costante e qualitativo.

Domandarsi se un Keniano, un etiope o un marocchino sono un forti maratoneti per genetica o per lo stile di vita sostenuto è quindi l’esito di un riduzionismo poco fruttuoso.






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