Purtroppo (anzi, per fortuna!) mi tocca ripetermi. A distanza di sette mesi, il mio socio si è ulteriormente migliorato in maratona: sei anni per migliorare un’ora (dalle 3h30′ del 2010 alle 2h30′ di aprile 2016), sette mesi per limare un altro minuto, che però pesa come un muro! Primo, perché due_ore_ventinove fanno sicuramente più effetto di due_ore_trenta, anche se i secondi di differenza possono essere meno di uno ogni chilometro percorso… secondo, perché stavolta la prestazione è frutto di una corsa davanti in solitaria, dal punto di vista psicologico la condizione peggiore per riuscire a spremersi fino alla fine, soprattutto in una gara lunga come la maratona!
Che altro dire, per non risultare banali? Riguardo alla forza di volontà e alla preparazione, è l’ulteriore conferma di quanto avevo scritto nell’introduzione qui.
Un famoso proverbio ci ricorda che andare a palazzo porta alla fama, investire in borsa alla fortuna economica, mentre sentirsi solo, alla saggezza. Se fosse effettivamente vero questo detto cinese, allora chi ha avuto la fortuna di correre per almeno due ore completamente da solo nei campi tra l’alessandrino e il vercellese, dovrebbe essere davvero cresciuto in saggezza. Ma come mai hai scelto proprio Trino per la maratona? Come ci si sente a correre da soli? Come ti sei preparato? Puoi postare e commentare le dinamiche di corsa? Hai usato il misuratore di potenza Stryd come avevi promesso? Perché non ti sei fatto vedere nel post gara? E adesso? Nei giorni successivi alla competizione di domenica 27 novembre, sono stato subissato sui social network da una tempesta di complimenti e queste sono state le sette domande più gettonate, da amici, conoscenti e dai lettori del blog. Nell’articolo qui sotto cercheremo di rispondere alle molte curiosità raccontando l’esperienza di Trino a 360 gradi.
Perché Trino? Difficile rispondere in maniera analitica, forse è più l’intuito ad aiutarci a capire. Tutto nacque da molto lontano, alla maratona di Boston 2015: all’epoca mi chiesi cosa avrei pagato per potermi riscaldare fino a cinque minuti prima della gara. E proprio da qui partirei per descrivere la maratona di Trino, usando semplicemente tre aggettivi: semplice, vicina e bucolica, ossia quanto di meglio si possa desiderare. Nel paesino che ospita tre manifestazioni podistiche, è possibile riscaldarsi fino a pochi secondi dallo sparo. Con un numero d’iscritti inferiore ai trecento, tutto è a misura d’uomo, gli spogliatoi relativamente confortevoli, i parcheggi a pochi metri dalla partenza, il deposito borse facilmente raggiungibile, nessuno stress supplementare da dover gestire. Chiaramente, a tutti questi pregi fa da contraltare un “piccolissimo” ma non trascurabile difetto: il rischio concreto di correre da soli. Essendo alla ricerca del Personal Best, non è esattamente una strategia vincente, ma i vincoli dell’ultimo periodo, oltre alla consapevolezza che la solitudine in gara non è mai stato un problema esistenziale, mi hanno portato a iscrivermi alla seconda (e a quanto sembra ultima) edizione della maratona della ridente località del vercellese. A posteriori però, mi rendo conto che in una gara maggiormente competitiva e con il supporto di amici veloci, avrei limato qualche secondo in più. Ma tutti noi podisti sappiamo che la perfezione in gara non esiste!
Arrivare a Trino. Sveglia relativamente tardiva, persino dopo l’orario normale, il viaggio sarebbe stato solo di un’ora, misurazione dell’HRV estremamente soddisfacente, probabilmente influenzata dall’ottimo riposo nel letto di casa, colazione rapida Low Carb High Fat (la domanda più gettonata degli ultimi trentasei mesi avrà prima o poi una risposta su questo blog?), previsioni meteo discrete, temperatura accettabile intorno ai cinque gradi. Sembra tutto favorevole ma a preoccuparmi era la presenza di nebbia a banchi prima di giungere a destinazione, oltre a una fortissima umidità in gara, che tende a “ridurre” la performance del podista in gara, non soltanto ad alte temperature, si veda Albanesi per dettagli. L’imprevisto era quindi dietro l’angolo, bisognava soltanto cercare di non esagerare nella prima parte.
Preparazione. Mi ero preparato attentamente per questa gara, stranamente gli ultimi mesi mi avevano trasmesso la consapevolezza di poter correre velocemente. Due test pre-maratona, Pavia sui 10 km e Gallarate sulla mezza maratona, solo quest’ultima gara a scalfire le certezze. Tantissimi viaggi di lavoro, oltremodo intensi, non hanno influenzato la preparazione: tra agosto e ottobre, la sequenza Detroit, Mosca, Manchester, Stoccarda, Johannesburg, tante volte Anversa, potrebbe far tremare i polsi al neofita, ma con esperienza e abitudine si può riuscire a gestire l’allenamento (quasi) al meglio, bisogna però accettare alcuni compromessi, tra cui la rinuncia ad alcune sedute intense in settimana, in cambio di una maggiore intensità e quantità nel week-end. Non si può di certo pretendere di andare su Saturno in queste condizioni, ma nemmeno credere che nulla sia possibile. Un obiettivo realistico si può sempre raggiungere, qualunque lavoro si faccia!
Partenza e primi 5 km. Arrivato al parcheggio e dopo aver bevuto un buon caffè a pochi metri della partenza, ho potuto constatare che le previsioni erano davvero in linea con le attese. Non ricordo coda al ritiro pettorale, il cambio d’abito effettuato in pochi minuti, un breve riscaldamento, subito pronto a schierarmi sulla linea di partenza. Lo speaker annunciava i favoriti, l’inno nazionale e poi lo sparo. Anzi, quest’ultimo è proprio mancato all’appello, qualcuno più agitato è partito, altri più calmi hanno atteso invano per qualche secondo.
Questo spiega la differenza con il tempo effettivo: sono l’unico al mondo a partire in prima fila e a superare la linea di partenza in quattro secondi netti! Ma non è stato molto difficile recuperare le posizioni e al primo chilometro avevo già fatto il vuoto: stavo decisamente bene, dopo aver attraversato la provinciale, al passaggio della prima cittadina ho ricevuto il “cinque” virtuale dai fotografi presenti (le foto di quest’articolo sono di Arturo Barbieri di Podisti.net), con il suggerimento di non esagerare con la velocità. Al quinto chilometro a occhio nudo facevo fatica a verificare la distanza dagli inseguitori, complice anche la nebbia, probabilmente avevo circa trecento metri di vantaggio.
Fino alla mezza maratona. Passati mentalmente i primi venti minuti, grazie al percorso in leggera discesa, mi sono lasciato trasportare correndo costantemente al di sotto dei 3’30”, sembrava tutto facile ma la strada era ancora lunga. Al passaggio dei 10 km a Costanzana ho ammirato la chiesa locale, accorgendomi che forse stavo esagerando con la velocità, il Garmin fenix 3 indicava un incredibile 34’47”. Da lì i ricordi sono diventati molto confusi, mi sembrava di essere in simbiosi con l’ambiente, di volere restare in quel limbo fatto di campagne infinite, di nebbia a volte fitta, a volte rada e di momenti con un timido sole.
In the middle of nowhere. Ma superato il traguardo della mezza maratona mi sono sentito per la prima volta solo: la macchina della polizia lampeggiava sempre più lontana, quella della giuria a centinaia di metri, persino il supporto della bici dell’organizzazione che nei primi chilometri mi accompagnava relativamente da vicino, sembrava un puntino confuso, nelle campagne tutte uguali ma diverse dei paesi limitrofi. Per diversi chilometri non ho visto un’anima viva, solo al ristoro del ventiseiesimo chilometro ho ritrovato la compagnia di un gruppo di volontari che amorevolmente distribuivano ai rarissimi podisti alcune sostanze energetiche per rinfrescare mente e corpo prima del prossimo momento di crisi. Pur sapendo che non avrei bevuto nulla, con la mia mente che rifiuta di assumere zuccheri, ho accettato un bicchiere di sali minerali, offerto da un signore sulla sessantina, che mi ha incitato a proseguire di buona lena. Alcuni minuti dopo, ma mi sono sembrati pochi istanti, sono stato avvicinato dal solito ciclista che mi ha annunciato di avere otto minuti di vantaggio sul secondo, anche se verosimilmente pensavo di averne al massimo cinque. Ero però il linea con l’obiettivo prefissato, anche se stranamente dalla mezza i passaggi chilometrici dell’orologio sembravano meno sincronizzati rispetto ai cartelli, evento molto strano in aperta campagna.
Il muro. Passati gli abitati di Balzola e Morano sul Po’, rispettivamente di 1.390 e 1.540 abitanti, dove pochi erano a conoscenza del passaggio di una maratona, mi aspettavano due muri, quello virtuale della mancanza di forze dopo il trentaduesimo chilometro e quello fisico, rappresentato dai tre cavalcavia presenti sul percorso nell’ultima parte di gara. Questi ultimi si sono mostrati nella loro interezza fin dal ventinovesimo chilometro, mi è sembrato difficile mantenere un’andatura costante rispetto ai chilometri precedenti. Anche se non stiamo parlando della scalata del Mortirolo, ho sentito la mancanza del sensore Stryd, che aiuta il podista evoluto a gestire al meglio le proprie forze in maratona. La seconda versione infatti ha avuto un difetto di fabbricazione, costringendomi a richiederne la sostituzione. Ottimo servizio clienti, il nuovo footpod arriverà tra poche ore, il cambio è avvenuto dopo qualche secondo di conversazione telefonica con il Colorado. Tornando alla gara, i tre cavalcavia hanno ridotto la velocità ma non certo le forze. Mentalmente ho avuto un momento d’appannamento alla visione di un intermedio di 3’45” (al km) dopo l’ennesimo viadotto. Ma il primo muro della mancanza di forze fisiche non l’ho mai incontrato, nemmeno per un secondo. Strano ma vero!
Gli ultimi quattro chilometri. Il risveglio mentale si è concretizzato con il ricongiungimento ai partecipanti alla mezza maratona, che partiti un’ora dopo, si apprestavano a ritornare al traguardo. Finalmente qualcuno con cui correre, i numerosi sorpassi effettuati mi hanno dato notevole fiducia, corroborata dagli incitamenti degli amici podisti. Grazie a loro ho ripreso un ritmo decente, arrivando al traguardo in spinta e concludendo la mia avventura in solitaria in 2h29’51”.
Antidoping e Running Revolution. Non ho sorriso dopo aver tagliato il traguardo, ho risposto alle domande dello speaker Claudio Piana, confermando che la mia intenzione iniziale era “battere me stesso”. Avrei fatto qualche battuta ironica ma ero mentalmente troppo stanco per essere brillante. Pochi secondi dopo mi sono ritrovato in una stanzetta a trecento metri dell’arrivo, conscio che non avendo bevuto in gara, sarebbe stata una lunga attesa.
Non avevo oggetti tecnologici a disposizione e guardando i dati Garmin, mi è apparso evidente che rispetto ad Anversa non avessi migliorato di molto le mie dinamiche di corsa. Ma forse correre al limite influenza alcuni movimenti, come già detto ci vuole tempo per cambiare. Ho inoltre fatto conoscenza con il campione biellese Stefano Velatta, con cui ho condiviso esperienze di corsa e gestito l’attesa. Purtroppo alle premiazioni sono arrivato tardi e non ho avuto modo d’incontro gli amici presenti a Trino, già tornati a casa. Next time!
E ora? Sono stato colpevolmente in ritardo nella pubblicazione dell’articolo e di fatto una piccolissima pagina della mia personale storia podistica è già stata scritta (per chi non lo sapesse, un suggerimento: doppiare si può 2.0). Ora mi attende un periodo di riposo, di test di nuovi gadget, pensando ovviamente al 2017, anno in cui cercherò di gareggiare il più possibile a livello internazionale. Obiettivo del primo semestre 2017 sarà la maratona di Parigi, il resto a contorno ancora tutto da definire. L’unica certezza è che tra poche settimane passerò alla categoria MM45, sto invecchiando lentamente ma come racconta il detto cinese, dopo Trino sono senz’altro diventato più saggio!