VO2max nella corsa

VO2max

Il VO2max è senza dubbio un parametro importante per l’atleta, forse ancora di più per l’amatore non professionista, in quanto spesso ci può essere un margine di miglioramento maggiore rispetto ad atleti elite che solitamente raggiungono il picco già nei primi anni di carriera, per poi continuare a migliorare in gara fondamentalmente grazie ad altri tipi di adattamenti a livello sia fisiologico che neuromuscolare (economia di corsa ecc.). Nel seguito, presentiamo le ultime ricerche sul VO2Max e i nostri consigli per la misurazione e il calcolo del VO2max nella corsa.

Stima del VO2max: come la possiamo calcolare, cosa rappresenta e come possiamo utilizzarla?

Il VO2max o massimo consumo di ossigeno, è un parametro che, come dice il termine stesso, esprime il volume massimo di ossigeno che una persona può consumare. Questa misura rappresenta il nostro livello di fitness cardiorespiratorio. In generale, a un aumento di fitness corrisponde un aumento di VO2max. Per il podista, così come per altri sportivi, il VO2max è un parametro importante, in quanto valuta un aspetto chiave di uno sport fondamentalmente aerobico come la corsa, ovvero la capacità del cuore di fornire ossigeno ai muscoli durante lo sforzo fisico. Come sempre, questo è solo uno dei tanti parametri coinvolti nel determinare la condizione e la prestazione atletica, e soprattutto nel contesto della media o lunga distanza, altri fattori possono risultare anche più importanti, come per esempio l’economia di corsa.

Per conoscere il nostro VO2max, è necessario effettuare il cosiddetto test massimale VO2max, ovvero fino all’esaurimento e misurare il consumo di ossigeno usando un calorimetro (vedi Figura 1). In alternativa, vari test cosiddetti submassimali, dove si esegue un certo protocollo, per esempio correre a una certa velocità su un tapis roulant o pedalare su una cyclette mentre misuriamo la frequenza cardiaca e/o la potenza, sono stati sviluppati per evitare test massimali. Il principio è molto semplice, ovvero a parità di carico di lavoro (ritmo della corsa per esempio), ci aspettiamo una frequenza cardiaca più bassa per una persona con un livello di fitness e VO2max più alto e quindi possiamo usare una semplice formula per stimare il VO2max in base alla frequenza cardiaca durante un predeterminato sforzo.

Grazie ai miglioramenti tecnologici degli ultimi anni, il VO2max ora può venire stimato anche senza effettuare nessun test specifico in laboratorio. Tutti i parametri necessari infatti, come la velocità o la frequenza cardiaca, possono venire misurati durante un qualunque allenamento, e utilizzati per stimare il VO2max. In questo articolo cercheremo di spiegare da cosa derivano le varie stime che si possono trovare in calcolatori online, orologi (Garmin, Polar, Apple Watch) o applicazioni (HRV4Training), in modo da capirne le limitazioni e poterle utilizzare al meglio.

L’articolo è molto dettagliato, come al solito abbiamo introdotto le sezioni per consentire una semplice lettura:

VO2max

Figura 1. VO2max test in laboratorio all’università di Maastricht dove sono stati raccolti la maggior parte dei dati usati in questa pubblicazione.

Calcolo della stima del VO2max: differenze fondamentali tra i vari metodi

Le varie stime fornite dai dispositivi disponibili sul mercato non sono tutte uguali. In particolare, i metodi più semplici utilizzano solo parametri antropometrici, per esempio altezza, peso, sesso ed età. Altri metodi, teoricamente migliori, utilizzano anche parametri fisiologici misurati a riposo, come ad esempio battito cardiaco o variabilità cardiaca, in base al principio che una persona con un livello di fitness più elevato, ha solitamente un battito a riposo più basso e una variabilità tendenzialmente più alta. Infine, i metodi migliori – in quanto in grado di fornire stime più precise – utilizzano i dati dei nostri allenamenti per fornire la stima. Più avanti vedremo anche come questi dati di VO2max siano correlati con le prestazioni in gara, per esempio i tempi su distanze dai 5 km alla maratona, e come quindi possano venire utilizzate come variabile sostitutiva nel nostro livello di fitness, senza dover effettuare test aggiuntivi, ma semplicemente derivato dai dati dei nostri allenamenti.

Vediamo quali sono le differenze per queste tre casistiche:

  • Parametri antropometrici: metodi che non utilizzano dati raccolti durante gli allenamenti e solitamente nemmeno parametri fisiologici a riposo.
  • Misure fisiologiche a riposo: metodi che uniscono i parametri antropometrici a varie misure fisiologiche a riposo come per esempio il battito cardiaco e la variabilità cardiaca. Questo metodo sembra essere utilizzato in particolare da Polar.
  • Dati degli allenamenti, col cardiofrequenzimetro: metodi che utilizzano dati sotto sforzo non massimale, solitamente dati di battito cardiaco contestualizzati dal tipo di sforzo effettuato, come per esempio il ritmo di corsa per un podista. Questi metodi sono utilizzati da Firstbeat, HRV4Training e Garmin (che utilizza gli algoritmi di Firstbeat).

Per confrontare i vari metodi, utilizzerò i dati raccolti su circa cinquanta soggetti durante parte dei miei studi di dottorato, in modo da poter capire in modo un po’ più concreto quali sono le differenze e come l’aggiunta di alcuni parametri, in particolare il battito cardiaco contestualizzato dal ritmo durante l’allenamento, sia fondamentale per una stima precisa.

Parametri antropometrici

I metodi di stima del VO2max basati su parametri antropometrici sono stati introdotti parecchio tempo fa (vedi Jackson et al., pubblicato nel 1990, o Baynard et al., appena pubblicato, si può trovare una miriade di articoli con piccole variazioni di questi metodi anche parecchi anni prima). L’obiettivo è ottenere una stima del livello di fitness di una persona, senza dover effettuare dei test specifici. Varianti di questi metodi possono includere il battito a riposo, in quanto è un parametro piuttosto semplice da misurare, o anche il livello di attività fisica di una persona, semplificato per esempio come numero di allenamenti a settimana.

Per prima cosa, possiamo creare un semplice modello per la stima del VO2max utilizzando i cinquanta soggetti che parteciparono a uno dei miei studi, e vedere che risultati otteniamo. Nonostante caratteristiche diverse di questi soggetti rispetto ad alcuni degli studi citati sopra, i risultati sono molto simili, per esempio Baynard riporta un R2 di 0,22 usando come unico parametro il body mass index (BMI), ovvero un parametro calcolato utilizzando altezza e peso (R2, o coefficiente di determinazione, è un numero che varia tra 0 e 1, dove 1 rappresenta un modello in grado di fornire una stima perfetta). Il valore 0,22 è piuttosto basso e ci fa capire come usando solo parametri antropometrici non ci avviciniamo molto al vero valore di VO2max. Ricreando lo stesso modello e utilizzando i nostri dati, otteniamo un R2 di 0,18. Baynard riporta anche il valore di R2 quando oltre a BMI, sesso ed età dei soggetti sono stati aggiunti ai parametri per la stima, in questo caso R2 diventa 0,57, lato nostro ricreando lo stesso modello otteniamo 0,54. Considerando che il valore di R2 dipende dai dati utilizzati, per esempio si tende ad avere un valore più alto se c’è molta variabilità tra i soggetti, mentre le cose diventano più complicate su un campione omogeneo di persone, possiamo considerare i nostri risultati molto simili a quelli pubblicati. Un buon inizio, ma insufficiente per poter utilizzare questa misura in modo utile nei nostri allenamenti. Soprattutto considerando che non utilizzando nessun parametro fisiologico, la nostra stima rimarrà immutata nel tempo, a meno che non cambiamo peso.

Misure fisiologiche a riposo

La stima diventa sicuramente più interessante quando iniziamo a inserire parametri fisiologici, per esempio battito o variabilità cardiaca a riposo. Prima di tutto cerchiamo di capire perché vengono aggiunti questi parametri. Dal punto di vista fisiologico, con uno stile di vita più attivo, e in particolare con allenamento aerobico, abbiamo dei cambiamenti nel cuore, che essendo un muscolo migliora con l’allenamento, per esempio a livello di capacità di pompare più sangue a ogni battito, un fenomeno che risulta anche in un battito a riposo più basso, in quanto meno battiti sono necessari per fornire al corpo lo stesso volume di sangue e ossigeno. Visto che il battito cardiaco a riposo si riduce con l’allenamento, e che il VO2max o livello di fitness migliora, ne deriva naturalmente che il battito a riposo si possa utilizzare per la stima del VO2max.

La domanda più interessante però è la seguente: quanto possiamo fare meglio? Ha senso “perdere tempo” con misure aggiuntive per la stima del VO2max? Possiamo tornare a fare qualche esperimento con i nostri dati, se aggiungiamo a BMI, età e sesso anche il battito a riposo, otteniamo un R2 di 0,59, un piccolo miglioramento, ma significativo. Questi metodi che includono dati fisiologici a riposo sono stati analizzati anche in passato da altri ricercatori, per esempio i metodi utilizzati da Polar, anche se le imprecisioni sono spesso troppo elevate (vedi ad esempio Esco et al.). E se aggiungiamo la variabilità cardiaca? Aggiungere vari parametri relativi alla variabilità cardiaca, come ad esempio rMSSD, il parametro che rappresenta l’attività parasimpatica e che ci può aiutare a stabilire il livello di recupero del corpo da varie forme di stress, non sembra essere particolarmente utile per la stima del livello di fitness. Il nostro valore di R2 rimane esattamente lo stesso quando includiamo l’HRV tra i parametri utilizzati per la stima del VO2max (se rimuoviamo il battito a riposo, e aggiungiamo HRV ai vari parametri antropometrici, non abbiamo comunque alcun miglioramento).

Nonostante in alcuni studi l’HRV sia stato associato al livello di fitness, in molti altri studi questa relazione non è stata evidenziata e anche nella mia esperienza personale, trovo che l’HRV sia molto utile per quantificare lo stress e il recupero dagli allenamenti, ma non sia associata più di tanto al livello di fitness. Bisogna anche fare attenzione al tipo di studio e di soggetti utilizzati, se per esempio prendiamo un gruppo di soggetti completamente inattivi, e li sottoponiamo ad un periodo di tre-quattro mesi di allenamenti, molto probabilmente avremo miglioramenti un po’ da tutti i punti di vista (inclusi un battito a riposo ridotto, possibilmente aumento di HRV e VO2max). Per soggetti invece già allenati, queste relazioni potrebbero essere differenti. Essendo molti di questi studi un po’ datati, c’è anche da dire che la variabilità cardiaca veniva misurata una volta prima dello studio, e una volta dopo, ovvero solo due misure in un periodo di vari mesi. Considerando quante variazioni abbiamo a livello di HRV anche solo da un giorno all’altro, in base alle varie forme di stress a cui siamo sottoposti, tendo a essere un po’ scettico su queste relazioni. Sicuramente avendo ora a disposizione metodi che rendono la raccolta dati molto più semplice, e facilitano la raccolta di dati in maniera longitudinale (per vari mesi), probabilmente ne scopriremo qualcosa di più.   

Dati degli allenamenti

Come spiegato in precedenza, il principio per cui vengono utilizzati test submassimali è molto semplice, ovvero ci aspettiamo una frequenza cardiaca più bassa per una persona con un livello di fitness (e VO2max) più alto, e quindi possiamo usare una semplice formula per stimare il VO2max in base alla frequenza cardiaca durante un predeterminato sforzo. Grazie agli orologi GPS, non c’è più bisogno di andare in palestra e correre a una certa intensità predefinita, ma possiamo ottenere una stima basata sui dati dei nostri allenamenti. In particolare, di recente abbiamo introdotto un metodo che utilizza il rapporto tra il ritmo di corsa e il battito cardiaco, così possiamo ottenere una stima indipendentemente dal ritmo che siamo in grado di sostenere.

Il motivo per cui i dati dell’allenamento sono preferibili di quelli a riposo è che le differenze in battito cardiaco che vediamo sui dati di soggetti a riposo vengono amplificate durante l’allenamento, e quindi è più semplice identificare con un livello di precisione maggiore chi ha un livello di fitness più elevato. Questo è il metodo usato in HRV4Training, usando i dati raccolti tramite Strava o TrainingPeaks. Tornando ai nostri dati, se inseriamo il battito e il ritmo di corsa nel nostro modello otteniamo un R2 di 0,67, un chiaro miglioramento rispetto ai modelli precedenti.

Usare i dati degli allenamenti è davvero necessario?

Da quando abbiamo rilasciato la stima del VO2max in HRV4Training, ci è stato chiesto varie volte se possiamo fornire la stima anche per chi non corre o va in bici, usando solo misure antropometriche o dati fisiologici a riposo, come ad esempio farebbe un Polar. Nonostante abbiamo la possibilità di fornire risultati anche in queste condizioni, utilizzando i modelli spiegati sopra, abbiamo preferito non fornirli in quanto non crediamo che la precisione sia sufficiente. Per motivare ulteriormente questa scelta e chiarire come l’aggiunta di questi parametri raccolti durante l’allenamento sia davvero fondamentale, concentriamo l’attenzione su un sottoinsieme di soggetti.

In particolare, è sempre facile ottenere valori elevati di R2 quando abbiamo soggetti molto diversi, per esempio pensiamo di effettuare una stima usando centinaia di persone, sedentarie, obese fino a podisti di livello internazionale, chiaramente anche un parametro come il BMI sarà sufficiente a ottenere una stima decente. Ma possiamo dire la stessa cosa quando analizziamo persone simili? È facile trovare due persone con caratteristiche antropometriche simili, peso, altezza, età, e che comunque abbiano un livello di fitness completamente diverso. Senza dati fisiologici, non possiamo identificare queste differenze. Vediamo un esempio pratico. Dei cinquanta soggetti utilizzati precedentemente, isoliamo un insieme con caratteristiche simili, per esempio età tra i 21 e 25 anni, BMI tra 22 e 24 kg/m2, uomini. Questo è un sottoinsieme piuttosto omogeneo, proviamo a stimare il VO2max usando solo dati antropometrici:

VO2maxCome possiamo vedere nella figura, visto che i soggetti sono simili, la stima è più o meno la stessa. Peccato però che alcuni di questi soggetti abbiano un livello di fitness completamente diverso (la correlazione tra stima e misura di VO2max è solo 0,28). Se includiamo il battito submassimale, ovvero il battito a un certo ritmo durante l’allenamento, possiamo vedere come ora la stima si avvicini molto di più alla misura del VO2max.

VO2maxOra la correlazione sale a 0,92, e in particolare il soggetto con un valore più basso viene correttamente identificato nonostante un valore basso di BMI, potenzialmente associato con un livello di fitness alto a livello di popolazione, ma non necessariamente quando vogliamo ottenere stime precise a livello individuale.

Come possiamo utilizzare la stima del VO2max

Ora che abbiamo capito come i vari metodi utilizzano differenti parametri e che l’unico modo di ottenere una stima precisa è quella di inserire nel modello di stima anche dati relativi agli allenamenti, cosa ce ne facciamo di questo VO2max?

L’utilità della stima del VO2max deriva principalmente dai parametri utilizzati per la stima stessa. Sappiamo che per una data persona, dove quasi tutti i parametri utilizzati rimangono costanti o cambiano lentamente (peso, altezza, sesso ed età), il parametro chiave è il battito cardiaco submassimale, ovvero il battito a un certo ritmo. Sappiamo anche che il battito cardiaco tende ad abbassarsi alla stessa intensità se il nostro fitness migliora, in quanto ne deriva che possiamo sostenere un’intensità più alta, ovvero correre più velocemente. Quindi la stima del VO2max fornita dai vari dispositivi o dalle varie applicazioni sul mercato non è altro che una rappresentazione di come sta cambiando il nostro battito cardiaco a un certo ritmo. Ci stiamo allenando bene per qualche mese e vediamo che siamo in grado di sostenere velocità più alte alla stessa frequenza cardiaca? Questo fenomeno sarà evidente nei dati della stima del VO2max, che quindi risulteranno essere un metodo semplice per monitorare il nostro livello di fitness senza dover effettuare nessun tipo di test.

Stima VO2max: ma funziona davvero?

Per evidenziare l’utilità di questa stima, vediamo due esempi. Il primo, relativo a un articolo che ho pubblicato recentemente, analizza la relazione tra VO2max e prestazione in gara su distanze tra i 10 km e la maratona. Il secondo esempio, forse più interessante, evidenzia come a livello personale possiamo monitorare il nostro progresso e il miglioramento di condizione fisica nel tempo. Questo secondo aspetto ci interessa di più perché come sempre tutto è relativo, e quello che vogliamo è uno strumento che possiamo utilizzare a livello individuale per monitorare i nostri miglioramenti, più che un qualche numero da confrontare con gli amici senza poi però trarne alcun beneficio nel nostro allenamento.

Relazione tra VO2max e prestazione in gara a livello di popolazione

In questo articolo, abbiamo analizzato la relazione tra la stima del VO2max e la prestazione in gara di circa cinquecento utenti. I dati sulla prestazione in gara sono stati raccolti su un periodo di otto mesi, in cui abbiamo identificato le migliori prestazioni su varie distanze per ogni atleta, e allo stesso tempo stimato il VO2max. Come si può vedere dai grafici sotto, la stima è correlata con la prestazione, ovvero può venire utilizzata, a livello di popolazione, come surrogato della prestazione fisica senza effettuare test specifici in laboratorio (questa figura è estratta direttamente dall’articolo e quindi non è stata tradotta, le relazioni dovrebbero comunque essere chiare).

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Relazione tra VO2max e prestazione in gara a livello individuale

E a livello individuale? Sotto possiamo vedere un esempio nei miei dati, dove miglioramenti di VO2max stimato sono associati con miglioramenti a livello di prestazione in gara. Questa analisi non è ancora stata effettuata in modo sistematico su un gruppo più significativo di utenti, un aspetto che sicuramente analizzeremo in futuro. In particolare, si può vedere come i miglioramenti ottenuti nell’ultimo anno, partendo da un 22’17” nella 5 km, e arrivando all’attuale 18’24”, siano associati a livelli di VO2max più alti nel tempo.

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Conclusioni e approfondimenti

Spero con questo articolo di aver chiarito come funziona la stima del VO2max nei principali dispositivi presenti sul mercato e aver evidenziato come la stima, se ottenuta dai parametri più importanti, possa essere utile nel quantificare la prestazione fisica senza effettuare specifici test o gare, ovvero limitando il livello di stress. Per concludere, un paio di note riguardo ad altre limitazioni di queste stime e precisazioni su alcune differenze presenti anche tra metodi che utilizzano gli stessi parametri per la stima, per esempio HRV4Training e Garmin:

  • Imprecisioni nella misura: nel mondo dell’intelligenza artificiale c’è un detto, garbage in, garbage out, ovvero se i dati di ingresso al modello non sono precisi, il risultato della stima sarà pressoché inutile. Purtroppo i dati sul battito cardiaco, soprattutto se ottenuti tramite metodi ottici che a volte non funzionano benissimo, quindi senza fascia cardio, potrebbero essere imprecisi e contribuire a una stima sbagliata. Allo stesso modo, imprecisioni nel GPS possono causare errori aggiuntivi. Per questo (e altri) motivi, spesso è meglio utilizzare dati da vari allenamenti per la stima invece di un singolo allenamento.
  • Finestra di tempo utilizzata per la stima: quanti allenamenti utilizzare quindi per la stima? Se avete utilizzato un dispositivo Garmin, avrete notato che con un allenamento molto intenso o una gara, spesso si possono guadagnare due-tre punti di VO2max. Con un paio di allenamenti molto facili invece, l’orologio riporterà una drammatica perdita di fitness. Chiaramente il fitness cardiorespiratorio non cambia così velocemente, ed è spesso un processo di settimane se non mesi. Per questo motivo in HRV4Training usiamo i dati delle ultime sei settimane per fornire la stima, in modo da poter gestire meglio sia eventuali errori spiegati sopra, sia fornire stime che non siano troppo sensibili al tipo di allenamento effettuato. La stima fornita dall’Apple Watch su iOS11 sembra ancora più sensibile di quella del Garmin, con variazioni enormi da un giorno all’altro. Purtroppo questo comportamento creerà più confusione che altro, ma ricordatevi che fondamentalmente è dovuto solo al fatto che è utilizzata per la stima una finestra più o meno lunga di tempo.
  • Altri fattori che influenzano il battito cardiaco: una discussione a parte andrebbe dedicata ad altri fattori che influenzano il battito cardiaco, soprattutto per paesi come l’Italia dove le stagioni hanno un enorme impatto sui nostri allenamenti, vedi caldi estivi. In questi casi, la stima non sarà in grado di capire che il vostro battito probabilmente è più alto a causa del caldo, e potrebbe fornire dei risultati più bassi. C’è anche da dire tuttavia, che probabilmente in queste condizioni la prestazione fisica è comunque limitata dallo stesso fattore, ovvero il caldo, e quindi forse una stima più bassa non è poi un errore, ma semplicemente riflette quelle che sono le possibilità attuali, date le condizioni ambientali.
  • Trail running: qui c’è poco da girarci intorno, questi modelli non funzionano bene per il trail running. In generale, l’altitudine è un parametro che non viene inserito nei modelli semplicemente perché il protocollo di acquisizione dati verrebbe complicato eccessivamente (invece di raccogliere dati per un certo numero di soggetti mentre si corre in palestra, e misurando velocità e battito cardiaco, bisognerebbe ripetere lo stesso test per vari livelli di inclinazione, il che richiederebbe ore e ore per ogni soggetto, oltretutto i test andrebbero fatti in giorni diversi perché se il soggetto si stanca poi si inserisce il fattore cardiac drift, che normalmente viene ignorato, ovvero il leggero incremento del battito con il sopraggiungere della fatica). Eliminare le sezioni con cambiamenti di altitudine significativi, mentre è potenzialmente utile per allenamenti su strada, che comunque spesso includono parti di salita e discesa, quindi in realtà il problema si risolve da solo, è comunque una soluzione abbastanza inutile durante una trail run, visti fattori quali il tipo di terreno, i cambiamenti continui di direzione, eventuali ostacoli ecc. Recentemente ho corso una trail run con una parte in discesa abbastanza tecnica, e non sono riuscito a correre sotto i 4′ al km nemmeno in discesa, per rendere l’idea. Detto ciò, qualche nota positiva: se facciamo una corsa trail ogni tanto, il problema non si presenta in quanto vengono utilizzati per la stima i dati di settimane di allenamenti. Se corriamo sempre gli stessi trail, mentre la stima non sarà precisa in termini assoluti, può comunque esserci utile in quanto sarà in grado di evidenziare cambiamenti a livello individuale nel tempo.

Questo è tutto sul VO2max, al prossimo articolo!

A parte i principali testi citati nell’articolo, come approfondimenti suggeriamo:




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