Scarpe da running minimaliste: ci salveranno dagli infortuni?

Suggerimenti

C’era una volta la scarpa da corsa e la sua categoria d’appartenenza in base al peso: A1 o superleggera (sotto i 250 g), A2 o intermedia (tra i 250 e i 300 g), A3 o neutra/ammortizzata (sopra i 300 g), A4 o stabile (sopra i 300 g) dedicata a chi soffre di problemi di iperpronazione.
Poi arrivò il concetto di corsa “natural”, con la ricerca di calzature minimaliste (categoria A0, le più famose sono senz’altro le Vibram Fivefingers) per un ritorno al correre naturale, quasi a piedi nudi: più spazio per le dita dei piedi, in modo da favorirne l’apertura in fase di appoggio, meno ammortizzazione, drop (dislivello tacco-punta) contenuto (da 0 a 6/8 mm), tomaia leggera e peso ridotto.
Successivamente, grazie all’introduzione di materiali innovativi, ecco la rivoluzione (come sempre iniziata dai big del mercato, Nike, Adidas, Brooks, New Balance…), a stravolgere tutto: scarpe con ammortizzazione da A3 ma peso da A1 o scarpe con reattività da A1 ma peso da A2. Cancellate dalla mente le vecchie categorie, e rimpiazzatele con quelle legate al tipo di utilizzo: scarpe da gara/allenamento veloce (più o meno estreme), scarpe da allenamento (più o meno ammortizzate), scarpe stabili, scarpe minimaliste.
Come se non bastasse, ecco arrivare una nuova tipologia, ovvero le MiniMax (le più famose le Hoka Hoka): drop minimo, ammortizzamento massimo, praticamente una via di mezzo tra una A0 (forma, drop e peso) e una A3 (ammortizzazione).

Questa lunga introduzione semplicemente per dire che attualmente, in fatto di calzature, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Ma qual è quella migliore, non tanto per la performance in gara, quanto per la prevenzione degli infortuni? Ecco alcune considerazioni di “Massi” Milani, alla fine troverete le mie…

Le scarpe minimaliste e barefoot rendono la nostra corsa migliore? Una guida dettagliata

Tread lightly“He who treads softly goes far”. Un famoso proverbio ricordava ai potenziali investitori americani di procedere con calma prima di negoziare con eventuali venditori/compratori cinesi. Ma Tread lightly è anche un libro, uno dei migliori che abbia mai letto. Così bello che l’ho regalato a Gianmarco per i suoi consigli dopo il Personal Best alla maratona di Milano 2014.

Perché sono esaltato da un libro che è un inno alla corsa minimalista? Qualche anno fa cercavo un modo di aumentare i chilometri settimanali, mantenendo costante la qualità dell’allenamento, ma senza “rischi” d’infortunio. Sapevo benissimo (grazie a Daniels) l’impatto che uno stop dalla corsa ha sul nostro organismo e sulla Vo2max. Le mie letture suggerivano che una crescita dei chilometri aumentasse il rischio d’infortunio, e che questo rischio fosse correlato all’individuo: Albanesi parla di Distanza Critica settimanale oltre la quale la probabilità d’infortunio aumenta sensibilmente. Prima di avventurarmi in terreni ignoti, ho quindi preferito documentarmi. Inizialmente non avevo speranze: quanto trovato in italiano su Internet o in libreria era abbastanza conservativo o semplificato. Ma con grande sorpresa “Tread lightly” di Peter Larson, famoso blogger di corsa e il suo coautore Bill Katovsky, concedevano alcune speranze. Nei 9 capitoli del libro i due autori affermano che migliorando il modo di correre, anche attraverso una scelta coerente delle scarpe, si può minimizzare il rischio d’infortunio.

Born to Run e scarpe barefoot

Non è nuova la tesi, già elaborata dal professor di Harvard Lieberman e discussa anche nel libro Born to Run. L’essere umano è evoluto migliorando nel tempo il modo di correre: il suo tendine d’Achille assorbe e rilascia energia durante la corsa, tendine che è praticamente inesistente negli scimpanzé. L’assenza di peli, il meccanismo “perfetto” del sudore durante l’estate, la crescita dei glutei con l’evoluzione della specie sarebbero tutte indicazioni che mostrano caratteristiche di adattamento dell’uomo alla corsa. Ma se fossimo davvero cosi propensi a correre, perché ogni anno tantissimi podisti si infortunano? Secondo gli autori ci sono solamente due cause scatenanti d’infortunio: il nostro modo di correre non ottimale, e l’utilizzo di scarpe non adeguate che al posto di correggere il problema lo accentuerebbe. Uno dei capitoli più affascinanti del libro mostra come l’attuale sistema di assegnazione di un tipo di scarpa in base al grado di pronazione sia obsoleto. La tesi di Larson è che la maggior parte dei podisti dovrebbero adottare scarpe neutre e leggere per ridurre la probabilità d’infortunio, anche perché le scarpe antipronazione A4 non proteggerebbero da infortuni. Difficile giudicare tutte le informazioni presentate, ma il libro offre sicuramente spunti interessanti, alcuni dei quali sono riassunti nella scheda.

Scarpe minimaliste

Dinamiche di corsaLa mia esperienza con scarpe minimaliste è recente, da quest’estate mi alleno saltuariamente con Nike Free 5.0, la versione “meno minimalista” dei modelli Free delle scarpe dell’azienda dell’Oregon e probabilmente in un futuro ci correrò la maratona o un trail. Ed ho voluto testare che impatto avessero scarpe più leggere sul mio modo di correre. Ho ovviamente analizzato le dinamiche di corsa, che introdotte da Garmin a fine 2013, mi hanno portato a scoprire diverse sfaccettature su come gestire allenamenti, e suggerire cambiamenti al mio allenamento (ne parleremo prossimamente, in particolare della loro utilità). Ebbene, confrontando uscite in condizioni simili, ho potuto appurare che sia l’oscillazione verticale, che calcola il movimento verticale del busto, sia il tempo di contatto al suolo, sono migliorati (in media dello 0,4%) con le Free, rispetto a scarpe “tradizionali”. Ciò significa potenzialmente “ottenere lo stesso risultato con un minor sforzo”. Come nota a margine, esistono studi che indicano di prestare molta attenzione durante la fase di transizione a scarpe più leggere, il rischio d’infortunio, almeno nella prima fase, esiste e non deve essere trascurato. In particolare le scarpe minimaliste potrebbero, almeno nel breve periodo, procurarvi una tendinite: alternatele con le scarpe più ammortizzate

SuggerimentiNon ho la competenza tecnica e le conoscenze biomeccaniche per valutare un libro di questo tipo. Tuttavia è indubbio che “Tread lightly” permette di analizzare il rapporto tra scarpe, modo di correre e la loro influenza sugli infortuni e più in generale la biomeccanica delle possibili lesioni. Ammesso di conoscere discretamente l’inglese, adottare alcuni dei principali consigli, avrà un impatto positivo sulla vostra salute e probabilmente i vostri infortuni diventeranno più rari. “He who treads softly goes far”: chi correrà “minimale” andrà lontano. Forse…

Tipologie di scarpa e modo di correre

Quanto è importante quindi la tipologia di scarpa e il modo di correre nella prevenzione degli infortuni e nel miglioramento delle prestazioni? Difficile dirlo in maniera certa, anche perché alcune considerazioni vengono regolarmente smentite dall’osservazione empirica. Per esempio, i promotori del correre naturale sostengono che impattare di tallone è il male assoluto, sia per il rischio d’infortunio, sia per la performance. Se fosse vero, come la mettiamo con atleti da 27′ sui 10.000 che addirittura tallonano in pista CON LE CHIODATE?
L’individualità regna sovrana: a ognuno il proprio appoggio, a ognuno la giusta scarpa! Ciò non toglie che è possibile migliorare il proprio modo di correre (appoggio, reattività/utilizzo dei piedi, frequenza, postura, utilizzo delle braccia…), ma restando sempre all’interno di parametri personali, senza voler cambiare completamente perché qualcuno sostiene che “… così è meglio!”.

Se proprio vogliamo parlare di “prevenzione infortuni”, oltre agli ottimi consigli elencati nell’ultima immagine qua sopra, aggiungerei quello di non utilizzare scarpe troppo usurate e soprattutto quello legato al peso, più importante di quanto si creda: se vi dedicate alle lunghe distanze e/o fate tanti km, il peso corretto per tenersi il più alla larga possibile dagli infortuni (almeno sulla carta) è probabilmente parecchio più basso di quello che pensate!

Ragionandoci un po’ su, la conclusione potrebbe apparire quasi scontata: tipo di appoggio, frequenza di passo e velocità di contatto variano anche nello stesso individuo al variare della velocità, il “segreto” quindi è migliorare quest’ultima… ;-)

P. S. Ho recentemente aggiornato la bibliografia, buttate un occhio se non sapete cosa leggere…

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